La libertà è terapeutica

La libertà è terapeutica

Ad Armando Bauleo

 

Lo scorso anno qui a Rimini riscontravo la necessità che si avviasse un nuovo movimento nel campo della salute mentale, un movimento capace di navigare di bolina cioè con il vento contrario.
Questo anno ci troviamo di fronte ad un movimento che si è avviato ma anche ad un forte aumento del vento contrario. Il vento di guerra che sta spirando fortemente non è certamente un vento di libertà. Come cantava Bob Dylan:

Non c’è bisogno di un metereologo per capire da quale parte spira il vento”.

Come sempre il vento della guerra richiede di CREDERE alla versione della nostra parte, noi siamo i buoni, la ragione è nostra e anche la libertà (da noi non non si parla più di Got mit uns) ma di mondo libero, di democrazia, di civiltà e così via . Sono gli altri che ci aggrediscono perché invidiano il nostro sistema di vita, sono loro i cattivi che vogliono toglierci la libertà.

E dunque bisogna OBBEDIRE senza mettere in discussione la Verità che gli altri, i nemici, i cattivi e terroristi, mettono in dubbio con la loro propaganda. Se usiamo gli argomenti del nemico diventiamo la loro quinta colonna. I genocidi li fanno solo i nemici, noi abbiamo la morale per fino nella guerra, addirittura c’è l’esercito più morale del mondo.

Figuriamoci se può diventare terrorista e commettere un genocidio. E naturalmente il vento di guerra spinge a COMBATTERE per ora qui da noi, solo la versione del nemico.
Qui Il combattimento è nelle menti, nelle opinioni, nella informazione, nella psicologia sociale, nell’immaginario è una  guerra psicologica, ma al fronte si richiede l’arruolamento coatto ed il combattimento contro il nemico: uccidi se non vuoi essere ucciso. Tante guerre di Piero, tanti sepolti in campi di grano, troppi civili bombardati, morti, nelle loro case, troppi bambini massacrati.
E forse, questo clima di guerra incombente, contribuisce alla micro violenza diffusa, con i delitti senza movente, le stragi incomprensibili, le uccisioni alla Raskòl’nikov.

Cosa c’entra tutto questo in un incontro che si occupa di come la libertà sia terapeutica, sulla scorta della esperienza del movimento che ha Franca Basaglia Ongaro e Franco Basaglia come riferimento?

Nel 1972 all’inizio della esperienza di Trieste i Basaglia cominciarono a progettare il lavoro che vedrà la luce del 1975 con il titolo di  “Crimini di Pace“ in quel lavoro dicevano che avrebbero voluto:

raccogliere delle documentazioni finalizzate alla ricerca di unalternativa pratica per il tecnico che, presa coscienza del suo ruolo di funzionario del consenso, voglia svelare praticamente, nel proprio settore specifico, i modi e i processi attraverso i quali tale consenso viene ottenuto e strumentalizzato dalla classe egemone a danno della classe oppressa.”

Quella ricerca collettiva raccoglie saggi di: F. Basaglia, F. Basaglia Ongaro, V. Dedijer, M. Foucault, R. Castel, R. Lourau, V. Accattatis, E. Wulff, N. Chomsky, R. Laing, E. Goffman, T. S. Szasz, S. Cohen, J. McKnight.

Ed ha come sottotitolo:

Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione.

A questo punto posso dire che noi  abbiamo il compito di prendere il testimone in questa staffetta che si sta svolgendo nel corso del tempo e se, analizzando il nostro mandato sociale, come abbiamo imparato a fare dalla esperienza di Gorizia in poi, rifiutiamo il ruolo di funzionari del consenso, dobbiamo DISERTARE l’arruolamento per ricercare e mostrare tutti i “Crimini di guerra“ che vengono praticati.

Non ci sono guerre giuste.
La guerra è una patologia mentale collettiva gravissima e noi che ci occupiamo di Salute Mentale, abbiamo bisogno di contrastare questa pandemia che è arrivata, qui in Europa, in continuazione diretta del Covid ma esisteva già come una guerra mondiale a pezzi di cui parlava Papa Francesco e nella guerra infinita che hanno teorizzato e praticato Paul Wolfowitz e Donald Rumsfeld dai tempi delle guerre in Afganistan e Iraq di Busch junior. Tutti ricordiamo la provetta esibita da Colin Powell per dimostrare l’esistenza in Iraq delle armi di distruzione di massa. La menzogna che ha scatenato la guerra.

La guerra, come la sofferenza mentale, nasce dalla menzogna e dalla incapacità di pensare collettivamente e di creare spazi di convivenza pacifica. Per questo, oggi più che mai, è necessario ripensare il concetto di salute mentale come RESISTENZA.
Disertare però, non significa solamente affermare che tutto questo non avviene nel nostro nome, non siamo “anime belle”  hegeliane, anche se questo non è poco, perché il consenso, l’egemonia, come la chiama Antonio Gramsci è il risultato del lavoro degli intellettuali, che non sono solo i grandi intellettuali, ma tutti noi lo siamo perché possiamo pensare e agire. Ma per  pensare è necessario DUBITARE della verità dominante, dubitare del flusso informativo perché qualcuno si ricorderà che:

le idee dominanti sono le idee della classe dominante“

questa ideologia mainstream ci presenta una realtà schematica e ci spinge a credere, senza fare troppa fatica, a ciò che ci viene proposto.
Edward Bernays, il nipote di Freud, con cui ebbe un interessante carteggio, è stato il teorico principale della pubblicità, chiamata anche propaganda.
Nel suo testo fondamentale, intitolato Propaganda, sostiene che:

“la propaganda moderna è lo sforzo coerente ed insistito per creare o deviare i fatti in modo tale da influenzare il rapporto della gente con un impresa, un idea o un gruppo. (…)il suo obiettivo finale è irreggimentare l’opinione pubblica al gran completo, esattamente come un esercito irreggimenta il corpo dei suoi soldati (…) quando l’inquadramento è completato (…) il gruppo rimarrà ancorato al proprio stereotipo.”

Lo stereotipo è il nemico del libero pensiero, e qui torniamo alla terapia della libertà che è fondamentalmente pensare con la propria testa, ma perché questo possa avvenire è necessario un altro passaggio che comporta l’uscita dalla irregimentazione, un passaggio complesso che, pur sembrando conforme al flusso dominante, richiede uno sforzo straordinario di consapevolezza e dissenso.
Quando parliamo di libertà come terapia, parliamo della capacità di creare spazi in cui le persone possano pensare, esprimersi e vivere senza costrizioni. Un’esperienza concreta di ciò che significa questo concetto la vediamo in ogni gruppo che si organizza attorno ad un compito, in ogni incontro tra persone che si sentono libere di esprimere i propri pensieri senza essere giudicate. Come noi oggi qui. La libertà è terapeutica perché permette all’individuo di riappropriarsi della propria soggettività e di diventare protagonista del proprio percorso di cura e di vita.

Per esercitare questa libertà bisogna DISOBBEDIRE, ma disobbedire a chi? Oramai le leggi sono costantemente violate dal flusso principale che ci spinge al consumo alla distruzione della natura che ci circonda come se noi fossimo di una altra pasta, cioè algoritmi famelici di energia fossile ed estrattiva, soggetti di silicio che distruggono tutto ciò di cui si alimentano, individui parcellizzati da un neoliberismo che non si basa più sul biopotere descritto da Foucault ma sul necropotere, di cui parla il filosofo camerunense Mbembe, il potere della distruzione della  putrefazione e della morte.
Dice Mbembe:

La nozione di biopotere è insufficiente per rendere conto delle forme contemporanee di sottomissione della vita al potere della morte. Ho, dunque, proposto la nozione di politiche di morte” e di poteri di morte” per fare riferimento alla varie forme in cui, nel nostro mondo contemporaneo, le armi vengono impiegate per produrre la massima distruzione delle persone e di creare dei mondi di morte, forme nuove e uniche di esistenza sociale, nelle quali popolazioni intere sono assoggettate a condizioni di vita che equivalgono a collocarle in una condizione di morti in vita”.

Non è difficile vedere in controluce le situazioni dei profughi, degli sfollati, dei migranti abbandonati a morire in mare.
Dunque si tratta di disobbedire a questo flusso a questo vento contrario alla vita, a questo potere di morte per costruire spazi  di libero pensiero, di convivialità, di libertà.
Si tratta di fare circolare il piacere, la libido, attraverso gli incontri le discussioni l’ amicizia e l’amore.
Sì perché fare l’amore non fare la guerra è sempre più attuale.

Dunque qual’è il compito del movimento per la salute mentale in questi tempi in cui si sta diffondendo lo stereotipo della guerra?
Tempi  in cui ci sono i nemici e gli amici, un tempo in cui, mentre gli altri sono bombardati da esplosivi  noi siamo bombardati da informazioni che non uccidono il corpo ma la libertà di pensiero.
E la mancanza di libertà di pensiero e’una patologia sociale mortale.
In questi tempi  Il nostro compito è DISOBBEDIRE all’ordine del flusso dominante e DISERTARE l’intruppamento, ma non per rimanere soli, i disertori si devono ritrovare fra loro, percorrendo vie di fuga diverse, in isole di pirati, in quilombos dove fuggivano gli schiavi ribelli, nelle zone liberate dai partigiani, dove organizzare la resistenza e non la resilienza.
Come noi oggi qui.

Per organizzare questi spazi è necessario DUBITARE di tutti gli stereotipi che organizzano i nostri pensieri. Pichon Riviere diceva che gli stereotipi erano il nostro nemico principale  per lui lo stereotipo è:

“La ripetizione come opposta all’apprendimento, inteso come modifica operativa”.

E per Bauleo lo stereotipo consiste

nei comportamenti reificati, rigidi, fissi, con cui, rifiutando le caratteristiche specifiche del compito presente, si cerca di affrontarlo senza tener conto della nuova situazione

Dunque dubitare significa rompere la ripetizione, le stereotipie, i cliché e cominciare ad apprendere dall’esperienza come diceva Wilfred Bion.
Anche Charles Peirce sosteneva che la ricerca nasceva dalla:

irritazione del dubbio (che) causa una lotta per ottenere uno stato di credenza. (e diceva) Devo chiamare questa lotta ricerca

Per questo invito i ricercatori del movimento per la salute mentale a  organizzare e moltiplicare gruppi operativi per:

DUBITARE, DISOBBEDIRE E DISERTARE

Adelante compagni c’è molto da  fare e da pensare.
Ci aspetta la prassi.

Leonardo Montecchi
Rimini 5/10/2024