Ancona, il suo porto e la città: difendere la salute e lo spirito dei luoghi.

Appena un anno fa, e, più precisamente, il 12 agosto 2023 era arrivata ad Ancona, da parte del Ministero dell’Ambiente, la relazione che certificava come le emissioni inquinanti derivanti dal traffico marittimo del potenziale nuovo scalo determinerebbero un danno alla salute pubblica. Le criticità emerse nella relazione frenavano, almeno in teoria, il progetto di banchinamento del Molo Clementino per l’attracco delle grandi navi da crociera.

Lo stesso P.I.A, (Progetto Inquinamento Atmosferico) redatto dal Prof. Bonifazi nel 2021 e oggi riformulato con l’approvazione del P.I.A 2, ha portato alla luce la necessità di drastici interventi per curare beni comuni imprescindibili, come la qualità dell’aria e la salute pubblica. E’ inevitabile che qualsiasi progetto di allargamento del porto di Ancona peggiorerà le condizioni ambientali e la qualità della vita dei cittadini e andrà ad ingrossare solo le tasche di quelle compagnie private, come MSC che hanno a disposizione risorse materiali, immateriali e simboliche per portare a sé e convincere, insieme all’Autorità Portuale, l’amministrazione comunale della fattibilità del progetto di banchinamento.

Sul versante politico l’unica parte che effettivamente da sempre si è schierata contro il progetto e a favore di politiche di tutela ambientale è Altra Idea di Città, che porta avanti anche la proposta di istituire un’Area Marina Protetta della Costa del Monte Conero.

Nel 2019 la delibera numero 50 approvata dalla Giunta Mancinelli aveva concesso la disponibilità dell’area del Molo Clementino per il progetto del hub crocieristico per le grandi navi; progetto inizialmente adibito e dedicato esclusivamente per l’attracco di navi militari, come da piano regolatore del porto datato 1998. Da quel giorno le pressioni dell’Autorità Portuale e di MSC per la realizzazione del progetto si sono susseguite. Soggetti, questi ultimi, che continuano a lanciare allarmi, insieme alla politica, della perdita di attrattività, competitività e opportunità per la città per quanto riguarda l’appetibilità turistica e come polo commerciale di rilievo nell’Adriatico.

Le cose non sono cambiate con la nuova Giunta. Infatti si è registrata a Marzo 2024, la bocciatura della mozione, proposta dal capogruppo di un’Altra idea di città (Aic) Francesco Rubini, che chiedeva il ritiro della messa a disposizione del molo da parte del comune, per i lavori di banchinamento per le mega navi da crociera, con l’astensione della maggioranza che appoggia il Sindaco.

Oggi siamo di fronte a una scelta politica che ha mostrato tutta la sua ambiguità. Il mito è stato sfatato, il sindaco si è tolto la maschera per mostrare il suo vero volto su questa vicenda e noi ne prendiamo atto, dichiarano i portavoce del Comitato Porto – Città. Lo svelamento è seguito all’interrogazione e alla mozione sulla delibera 50 che Silvetti poteva impugnare e invece non l’ha fatto”.

In città – cittadini, comitati, associazioni, partiti e movimenti – si sono sempre fatti sentire per decidere insieme i passi da fare affinché la tutela dell’ambiente in cui viviamo diventi obiettivo comune e cardine della partecipazione politica cittadina. Questa unione d’intenti, promossa il 22 maggio 2024 tramite la chiamata di un’assemblea pubblica cittadina, e , indetta da un coordinamento di forze politiche e ambientaliste, in vista del G7 salute ad Ancona di Ottobre, ha dimostrato che il tema della salute, del lavoro e dell’ambiente sono le basi da cui partire per renderci consapevoli degli spazi che abitiamo.

Dunque la domanda sorge spontanea:

Come si fa ad autorizzare un’opera che scavalca il parere del Ministero dell’Ambiente e nel mentre ci si affida a una compagnia privata che ha le mani sui porti italiani e che ha più nel trasporto delle merci, che nel turismo delle grandi navi, la sua vera fonte di business?

MSC per la gestione dei moli parla costantemente con le autorità portuali di mezza Italia, senza passare dalle autorità comunali o pubbliche, ed è entrata da protagonista anche nella partita del porto di Genova, dove si deve costruire la nuova diga foranea, per consentire l’ingresso di navi sempre più grandi e più inquinanti.

Come a Genova anche ad Ancona, MSC privatizza quegli spazi portuali, che potrebbero essere adibiti non solo a poli commerciali, tramite il suo enorme potere contrattuale. Insieme all’autorità portuale spinge per l’allargamento del Molo Clementino. Entrambe attente a soddisfare i loro interessi privati piuttosto che tutelare la salute pubblica, i lavoratori del porto, che si ammalano con una frequenza più alta a causa della vicinanza con i fumi rilasciati in atmosfera, e l’ambiente, sempre più fonte gratuita di accumulazione capitalista. I costi sociali che ne derivano sono tutti a carico di chi abita la città e per chi ci lavora.

 

Distopia urbanistica al porto di Ancona in un rendering del 2014

 

Questi accordi, tra Autorità portuale, MSC e Comune, in cui ancora manca la valutazione per l’impatto ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente, che si basano su un Documento di Pianificazione Strategica del Sistema Portuale, da una parte relegano il porto a zona commerciale e dall’altra mettono a serio rischio la protezione sia del centro storico e del suo patrimonio artistico e culturale sia la salute pubblica.

Il progetto di banchinamento è l’emblema di una visione socio culturale intenta a produrre per lo più esternalità negative (essa si realizza nel momento in cui un’attività di produzione o di consumo di un soggetto influenza negativamente il benessere di altri, come accade, per esempio, in presenza di emissioni inquinanti legate a un’attività produttiva, senza determinare alcun costo per chi la produce) e che continua a legittimare un sistema economico che fa del profitto l’unica sua fonte desiderabile.
Le parti politiche anconetane rimangono ancorate alle linee guida dei due partiti nazionali (FdI e Pd) piuttosto che ascoltare le voci che da molte parti hanno dichiarato l’insostenibilità del progetto. Le Giunte di queste parti politiche dimostrano una bieca lontananza dal contesto locale, intente più a soddisfare il principio di realtà che la realtà concreta e il “Grande Altro” (inteso come o finzione collettiva e assieme struttura simbolica presupposta da ogni campo sociale o consumatore delle pubbliche relazioni e della propaganda, figura virtuale a cui viene chiesto di credere anche quando nessun individuo potrebbe credere davvero) di Lacaniana memoria che dissolve il tutto nelle public relations e si allontana dalla realtà concreta. Problemi locali, questi, che richiedono invece una vicinanza con il luogo. Vicinanza espressa chiaramente dall’unica lista locale (Aic) slegata da un progetto politico nazionale.

Il progetto del banchinamento è anche il leitmotiv dei processi di globalizzazione con  i suoi mantra del libero mercato e della deregolamentazione dei flussi di capitali. L’ideologia sottesa a questi processi hanno portato a credere che questi progetti siano un bene per le città, perché “fanno girare l’economia e portano turismo”. Ma che tipo di economia e di turismo? Domanda questa che aprirebbe molti discorsi ma che ci basta in questa sede per mettere in discussione una politica più intenta a salvaguardare l’istituzione mercato, come principio ordinatore delle nostre società, piuttosto che i diritti sociali, la tutela dell’ambiente e delle persone in generale.

Negli ultimi anni i porti italiani, in generale, hanno subito un progressivo allargamento (la Nuova Diga Foranea di Genova in costruzione ne è un esempio) manifestando ancora di più la loro funzione di non luoghi concepiti e adibiti unicamente a zona commerciale e non come zone vivibili per le collettività

A Genova, infatti, la proposta di ampliare il porto verso il mare e fare una nuova banchina per poter fare arrivare delle nuove navi porta container ancora più grosse, per alimentare ancora di più un’economia che fa produrre nel sud del mondo ai bambini e alle donne a mezzo euro al giorno, e far diventare la città una piattaforma logistica e una sede di supermercati, è aberrante.

È questo il futuro che vogliamo per Ancona?

Dunque possiamo dire che i temi, che erano sul tavolo all’epoca delle proteste contro i summit di quello che allora nei primi anni del nuovo millennio si chiamava G8, da Cancun, a Seattle, a Napoli fino a Genova, e che strutturavano i dibattiti dei Forum e del movimento per la giustizia globale ritornano oggi in una veste ancor più problematica. Quello che bisognerebbe cercare di fare è da una parte recuperare le istanze di quel movimento, far conoscere veramente le sue richieste e aspirazioni, e dall’altra saper cogliere anche nel proprio contesto locale le storture che dal sistema nazionale e internazionale prendono forma.

Il porto di Genova così come la città hanno vissuto questi cambiamenti. Lo vediamo anche in una realtà come Ancona in cui l’autorità portuale emette ordinanze per ostruire la zona del porto alla cittadinanza, zona che pochi anni fa era stata riaperta per farla vivere ai propri cittadini, e che progressivamente viene interdetta per farla tornare solo una zona di commercio e inquinamento.

 

 

Un commercio a tutti gli effetti irresponsabile, ma globale, che trascina con sé i germi peggiori tra cui la speculazione finanziaria e numerose problematiche ambientali e sanitarie derivanti da uno sviluppo incontrollato e senza freni. Oggi a 4 anni dalla pandemia sembra però non essere rimasto niente di tutte queste inquietudini che ci circondano. Bisognerebbe sforzarsi di dialogare e prendere la parola perché c’è da prepararsi cercando di farlo tutti insieme.
Unirsi su temi di tale rilevanza locale e globale è necessario e urgente. Rendere le città dei luoghi vivibili e il meno inquinati possibili come, allo stesso tempo, tentare di smarcarsi da un modello di sviluppo economico e politico dannoso per le persone e gli ecosistemi, devono essere assunte come alternative realizzabili e fattibili.

La creazione di esternalità negative è un esercizio di potere che insiste sui luoghi e sui suoi abitanti, marginalizzando le persone per classe sociale e appartenenza etnica, perché relegate nelle cosiddette zone di sacrificio (periferie o piccoli-medi centri abitati). Queste si identificano come i luoghi «lasciati indietro o abbandonati dalla politica, dall’attenzione dei media», i luoghi della marginalità e dell’abbandono, al di fuori del mainstream urbano. Falconara, centro cittadino vicino ad Ancona, con l’Api, l’impianto petrolchimico che raffina petrolio, finita sotto processo per disastro ambientale, né è un esempio calzante.
Tale esercizio di potere implica il «diritto di inquinare» consentito da un assunto economico naturalizzato in cui prevale questo principio: o la salute (o l’ambiente) o il posto di lavoro. E’ così che Il dibattito è spesso polarizzato e dominato dal presunto compromesso tra inquinamento e occupazione.
La nostra contemporaneità è contraddistinta dalla presenza di tre crisi – climatica, sociale ed economica – i cui effetti sono ben visibili. E’ più che mai urgente comprendere come la tutela e l’affermazione dei diritti del lavoro e dell’ambiente debbano essere trattati da strategie di politica economica integrate e in grado di fronteggiare la tripla crisi.

Vivere la città, difendere la sua storia popolare e mediterranea è l’elemento cardine per attivare canali di partecipazione pubblica e per creare percorsi di valorizzazione dei suoi luoghi, contro il saccheggio e il sacrificio della salute imposti dalla logica capitalista.

a cura di Rete di Azione contro il G7 Salute ad Ancona – IG: @rete.azionenog7salute